La riflessione di Brentano si è sviluppata con ampiezza attorno a vari nuclei tematici, che sono stati oggetto di un vasto dibattito e hanno fatto sì che egli trovasse un posto di rilievo «alle origini delle correnti principali del ventesimo secolo». Tuttavia, la ricezione del suo pensiero, in mancanza di una rigorosa edizione critica delle sue opere e per via del loro rimaneggiamento non di rado sconsiderato, ha dato vita a numerosi «fraintendimenti che riguardano la diffusione e la ricezione delle sue concezioni». In particolare, proprio alcuni suoi diretti discepoli come Alfred Kastil e, sulla sua scia, Franziska Mayer-Hillebrandt, nell’intento di dar vita ad un corpus organico, grazie ad una serie di modifiche, espunzioni e integrazioni, ne hanno manipolato arbitrariamente gli scritti. Questo spregiudicato approccio editoriale risalta in primo piano, ad esempio, si prende in considerazione la trattazione di Aristotele che viene svolta nella Storia della filosofia greca (Berna 1963), edita postuma dalla Mayer-Hillebrandt, e si analizza la portata degli interventi effettuati: ci si accorge innanzitutto che nel volume vengono interpolati passaggi o addirittura sostituite intere pagine con altre prese a prestito dal testo di Brentano Aristotele e la sua concezione del mondo (1911) e dal primo tomo di Überweg sulla storia della filosofia, dato alle stampe nel 1863; altre volte, lo stesso testo viene completato con l’aggiunta di passi tratti dalla prima opera di Brentano Sui molteplici significati dell’essere secondo Aristotele del 1862 o semplicemente sostituendo passi dei manoscritti originali, considerati superati, con altri tratti da varie fonti – appunti, saggi – dell’ ultimo Brentano, di cinquant’anni dopo. Nel caso del volume sul problema di Dio, poi, non vengono nemmeno distinti e datati i diversi manoscritti in esso raccolti e dati alle stampe.
Per tutti questi motivi, solo il ritrovamento e l’analisi accurata delle sue numerose lezioni accademiche e dei suoi corposi carteggi, relativi agli anni compresi tra il ‘60 e il ’73, con parenti, amici e discepoli, può introdurre delle effettive novità e contribuire a chiarire l’ambito di lavoro nelle sue stesse linee di fondo.
Una di queste linee, e forse la più importante, è costituita dall’intento di Franz Brentano di condurre fuori delle secche della deteriore scuola tomista lo «sviluppo della Scolastica nei suoi più profondi motivi».
Nell’arco di tempo che copre gli anni della sua formazione e perlomeno quelli del suo insegnamento a Würzburg (1866-1873), Brentano ha di mira un progetto di rinnovamento del Tomismo, attraverso una «nuova comprensione di Aristotele». Questa attività scientifica di Franz Brentano si inseriva nel clima culturale e religioso che aveva uno dei suoi centri propulsori nel seminario vescovile di Mainz – attorno al vescovo Ketteler -, e intendeva opporsi, con il ritorno al pensiero della Scolastica, alla filosofia idealistica vista come espressione sia del Protestantesimo liberale sia del movimento nazionalistico tedesco. Il giovane filosofo si muoveva qui nella linea, mediatogli anche da Trendelenburg, che sin dalla fine degli anni 50’ caratterizzava i suoi studi, cioè l’interesse congiunto per Aristotele e per il suo insuperato commentatore san Tommaso. Aveva seguito, infatti, nel 1858 e per un semestre le lezioni a Berlino dello studioso dello Stagirita e nello stesso tempo si era sempre di più accostato ai commenti dell’Aquinate “nei quali Aristotele si trova esposto con maggior esattezza di molti commentatori posteriori”. Le stesse sollecitazioni le aveva ricevute dal proprio contesto familiare, in particolare dal padre Christian, legato da rapporti di stretta collaborazione al circolo di Mainz, al vescovo Ketteler oltre che a Christoph Moufang e Johann Baptist Heinrich (1816-1891), che avevano assunto la redazione della rivista „Katholik“ – diventata, proprio per la loro direzione, espressione e organo del movimento neoscolastico tedesco -, ben presto entrata in rotta di collisione in particolare con la Scuola di Tubinga e con la rivista „Tübinger Theologischer Quartalschrift“ che si ispirava all’Idealismo tedesco. „Katholik“, poi, in generale, avversava la filosofia moderna in quanto essa mirava a perpetuare l’eredità della Riforma protestante, «radice di ogni errore», di ogni forma di soggettivismo e di confusione e, perciò, bisognosa di essere sanata attraverso il ricorso alla chiave ermeneutica fornita dalla Scolastica che consente anche una adeguata e corretta comprensione della filosofia antica.
In questo milieu culturale, Aristotelismo e Tomismo non soltanto finiscono con l‘essere inscindibili, ma l’Aquinate viene visto come l’autore che ha portato a compimento il frutto più maturo della filosofia greca, integrandola all’interno della verità cristiana, in uno sviluppo storico che ha condotto alla elaborazione della philosophia perennis, in cui filosofia, scienza e teologia non vengono più intese come storicamente condizionate, bensì caratterizzate nei termini di un vero e proprio sistema. Per usare le parole di Clemens, in sintonia con le posizioni espresse negli stessi anni in Italia dalla „Civiltà cattolica“, la Neoscolastica è da considerare come quella filosofia erede della antica sapienza, che passata attraverso il filtro dell’attività di mediazione e sistematizzazione dei Greci, è stata poi «completata e sviluppata in accordo con la rivelazione», e nello stesso tempo illuminata e resa fruttuosa, al punto che essa ha assunto «una forma quasi matematica, rigorosamente scientifica fino a diventare la dottrina universale delle Scuole cattoliche […] che ha riunito in sé la sapienza del nuovo mondo cristiano con quella antica e portato avanti la tradizione scientifica». Tuttavia, l’adesione alla Neoscolastica non è da intendere in maniera acritica, come se si trattasse di seguire San Tommaso, «in tutte le sue dottrine ed in maniera esclusiva […] senza prendere in considerazione i Padri e gli altri esponenti della Scolastica», senza «nulla da cambiare, da migliorare o da integrare, ed esso fosse bastante a risolvere tutti i problemi del presente e noi non avessimo più nient’altro da fare che riproporlo, farlo accettare e introdurlo nelle Scuole».
Queste idee avranno importanti conseguenze per quanto riguarda lo sviluppo successivo del pensiero di Franz Brentano. Egli aveva, infatti, stretti legami anche personali col circolo di Mainz e, in particolare, con i redattori di „Katholik“, ma soprattutto con Clemens. Per poter seguire le lezioni e addottorarsi con quest’ultimo il giovane lascia Berlino nel 1859 e si reca a Münster e, poi, nell’estate del 1861, dopo l’aggravarsi delle condizioni di salute di Clemens, trascorre il semestre estivo a Mainz, su esplicito invito di Paul Leopold Haffner (1829-1899), conosciuto durante le lezioni e le passeggiate con lo stesso Clemens e viene ospitato a casa di Heinrich, col quale avrà frequenti contatti nel corso degli anni successivi e al quale invano si rivolgerà per un consiglio prima di abbandonare l’abito talare, come risulta da una lettera inviata da Firenze al proprio cugino Georg von Hertling
- 1. Il rapporto Aristotele – San Tommaso
Scrivendo a Schlüter, il 16 febbraio 1863, da München, in risposta ad alcune precise osservazioni critiche a proposito dello Stagirita che gli aveva in precedenza espresso il suo interlocutore, il giovane Brentano esplicita i suoi intenti di fondo; e, nel farlo, chiarisce ulteriormente le motivazioni a monte del suo volume Sui molteplici significati dell’essere. Si scusa innanzitutto per la concisione delle sue argomentazioni, che risentono necessariamente della brevità e dei limiti di una lettera, e afferma di aver forse trovato un modo e dei criteri efficaci con cui rispondere in maniera concisa alle difficoltà frappostegli da Schlüter. Quest’ultimo, in particolare, gli aveva chiesto ulteriori lumi circa le sue effettive posizioni e il suo obiettivo critico, convinto del fatto che Brentano non fosse un puro entusiasta del sapere, ma avesse come presupposto e nello sfondo del suo scritto una propria personalità speculativa, per cui il suo libro era da considerare non come fine a se stesso, ma uno strumento in vista di «un fine superiore». Poi, Schlüter, negli ulteriori svolgimenti del proprio argomentare, aveva respinto la possibilità di far proprie le posizioni aristoteliche nell’ambito del Cristianesimo, perché a suo dire :«non c’è alcuna salvezza in Aristotele, se egli, in qualche modo, non viene collegato a Platone, quest’ultimo è più analogico e necessario alla nostra fede di quello, che di certo non giudico superfluo, benché Agostino non lo conobbe quasi per niente e in ogni caso meno di quanto Tommaso conoscesse Platone».
Ma qual è la risposta di Brentano e le ragioni della difesa di Aristotele che egli manifesta?
Per Franz Brentano, Simplicio – come d’altronde a suo tempo, e per altri versi, aveva fatto anche Cicerone -, nei suoi commentarli sulle categorie e sulla fisica, ha cercato in maniera analitica e con grande sagacia di illustrare in che modo Platone e Aristotele non solo rientrino in un unico grande alveo, ma siano anche da ricondurre ad unità. Lo scolarca e il retore, infatti, hanno mostrato giustamente la via da seguire, su cui incamminarsi e procedere con rigore : «la filosofia aristotelica e quella platonica sono una, perché c’è solo una filosofia, solo una sapienza, così come c’è soltanto una divinità, una verità; e ciò che gli uomini pensano, al di fuori e contro di essa, è stoltezza». Tuttavia, Simplicio, va oltre e sembra voler trovare entrambi i due filosofi in piena e completa sintonia tra di loro. E questo non è così facile provarlo. Ad ogni modo, però, dopo di lui, non è più possibile proclamarsi discepolo dell’uno o dell’altro in maniera esclusiva ed assoluta. Si può dissentire su singoli e specifici aspetti dei due grandi filosofi greci e privilegiare di volta in volta l’uno o l’altro punto, ma i due sistemi nei loro lineamenti essenziali non sono in contraddizione o in inimicizia tra di loro. Questa prospettiva comporta che si possa essere «tanto platonico quanto aristotelico, come d’altronde lo fu Platone». Il più grande merito di quest’ultimo, in fondo, è stato quello «di aver prodotto un Aristotele […] In Aristotele, comunque si voglia giudicare la sua grandezza, volge al tramonto il periodo di splendore della filosofia greca; e dopo di lui appassiscono e cadono i fiori che si erano con vigore e grazia così ben dischiusi in Platone». E lo Stagirita dovrà attendere secoli per trovare un erede come lo trovò in lui Platone, «se vogliamo riconoscere in San Tommaso un tale erede, come entrambi concordiamo».
L’Aquinate, quindi, viene qui visto come colui che ha continuato Artistotele così come quest’ultimo aveva fatto con Platone. In forza di queste convinzioni, in tutto il pensiero del giovane Brentano, il rapporto Aristotele – San Tommaso assume una funzione di privilegio, capace a suo dire di rispondere veramente alle esigenze dei tempi moderni e, anzi, di dare una soluzione ai problemi che Kant e l’Idealismo tedesco nelle sue molteplici ramificazioni non erano riusciti a fornire. Sin dai suoi primi scritti, quindi, l’intento fondamentale di Brentano è innanzitutto quello di dare una risposta esauriente ai critici dello Stagirita e, poi, di precisare e giustificare da un punto di vista strettamente filosofico, il ricorso alla filosofia aristotelica e al suo più importante commentatore e discepolo medioevale, per contribuire a fondare, su basi speculative più solide di quanto avesse fatto la Scolastica deteriore, una «scienza cattolica». Così, proprio in un tempo in cui la filosofia dell’idealismo tedesco esercitava ancora un certo influsso nella cultura universitaria europea, Brentano, con inaspettata vigoria, ripropone il realismo critico della filosofia perenne, e assume a termine di riferimento e di costante confronto, nei suoi studi e nelle sue pubblicazioni, Aristotele e la grande Scolastica.
Ad esempio, nel 1862, dà alle stampe la sua prima opera, Sui molteplici significati dell’essere secondo Aristotele o meglio sull’indagine che egli ha condotto «nel corso di tutti i libri della Metafisica», su di «un’unica questione: che cos’è l’essere?» Si tratta, qui, del problema delle categorie, la cui discussione è propedeutica alla metafisica e che riveste una importanza particolare : è in questione ciò «che noi cogliamo per primo con il pensiero, poiché è il più universale, e ciò che è maggiormente universale viene sempre prima nell’ordine della conoscenza universale». Dalla sua chiarificazione o meno, quindi, dipende e deve prendere le mosse «chiunque aspiri a un sapere», perché, ripetendo qui una convinzione espressa da Aristotele nel primo libro del De caelo, per Brentano il discostarsi all’inizio «anche di poco dalla verità si moltiplica man mano che si procede» e «sempre più lontano fino a cadere in errori mille volte più grandi».
Antonio Russo
University of Trieste